La mindfulness è una particolare qualità di attenzione che permette di osservare intenzionalmente ed in modo non giudicante, ciò che emerge, momento per momento, nel campo della coscienza.
In altre parole, la mindfulness è consapevolezza, è la nostra capacità di essere presenti a quello che c’è, così com’è, nell’attimo in cui accade.
A tutti capita di sperimentare spesso l’effetto di una “mente cronicamente ingorgata” dall’incessante proliferare di pensieri che quasi mai sono rivolti all’esperienza del momento. Molti usano l’espressione del “pilota automatico”per indicare un comportamento meccanico che si svolge senza una vera attenzione a ciò che succede.
In questi frangenti, i frammenti di pensieri, gli scenari immaginativi e le emozioni che li sottendono hanno poche probabilità di essere percepiti coscientemente e se non riconosciuti, possono assemblarsi in configurazioni che danno origine a stati emotivi e mentali spesso disagevoli o patologici.
Un ascolto più profondo, allora, rivolto ai segnali propriocettivi ed emozionali, può aiutarci in una maggiore discriminazione e comprensione di questi ultimi, divenendo anche essenziale per la loro regolazione.
Un’attenzione più spaziosa che è in grado di inglobare nello stesso tempo ciò che accade dentro e fuori di noi, può rivelarci una “chiara visione”degli eventi, permettendo di disidentificarci dai pensieri e da una conseguente reattività spesso dannosa. Tutto questo, però, non va confuso con una delle tante tecniche comportamentali, di rilassamento o di self-monitoring da utilizzare meccanicamente al momento del bisogno. L’approccio a questo percorso, sia per il terapeuta che per il paziente che lo praticano, diventa un modo di vivere e di essere al contempo, che richiede un costante impegno nel resettare i pattern quotidiani, in uno spazio interiore di consapevolezza non giudicante e libera da condizionamenti mentali.
Il “cuore operativo” di un programma di Mindfulness coniuga l’antica sapienza di tecniche meditative come la Vipassana, con iI rigore di un metodo scientifico che l’ideatore Jon Kabat-Zinn, Professor of Medicine all’University of Massachussets, ha saputo miscelare in un protocollo standard (di 8 incontri di 2 ore ciascuno) iniziato sperimentalmente intorno agli anni 80, ed ora, (anche grazie ai più recenti studi col brain imaging, sugli effetti positivi della meditazione sugli emisferi cerebrali e sull’organismo, svolti da scienziati di calibro mondiale quali Davidson, Varela, Goleman) inserito in programmi di trattamento per la salute mentale e fisica, in 250 ospedali degli Stati Uniti ed in molte Università europee.
Le applicazioni cliniche della mindfulness, attraverso i suoi programmi MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction) e MBCT (Mindfulness Based Cognitive Therapy) sono numerose e vanno da patologie quali la sindrome da dolore cronico, le malattie oncologiche, la psoriasi, alle problematiche psichiatriche e psicologiche quali depressione, disturbi d’ansia, attacchi di panico, disturbi alimentari.
Tra le numerose ricerche attuate, è utile sottolineare le due prime e ormai storiche meta –analisi (R.Baer 2003);(P.Grossam 2004) sui risultati di 21 studi clinici effettuati, pubblicati in inglese con misurazioni pre/post e/o gruppo di controllo che riportano il calcolo di un effect size (cioè una misurazione in media statistica dei miglioramenti indotti dagli interventi) di 0,59, valore che indica un effetto positivo sostanziale dei trattamenti. La conclusione della letteratura scientifica quindi, già nel 2007 suggeriva che “gli interventi Mindfulness-based erano promettenti nel contribuire ad alleviare una vasta varietà di problematiche psicologiche e cliniche. Ormai, negli ultimi 15 anni, queste prime evidenze, dopo centinaia di studi a riguardo, sono diventate delle consolidate delle certezze.
Dott.ssa Loredana Vistarini