Ci sono anni in cui devi “fare”: per la tua professione, per la tua vita personale, per le persone care intorno a te, per le cause umanitarie che scegli di sostenere e, semplicemente, non ti puoi fermare. Anni in cui spingi l’acceleratore dell’ esistenza senza chiederti se la tua carrozzeria sia in grado di reggere questa accelerazione. E così era successo a me.
Il mio corpo aveva preso l’iniziativa che io non ero in grado di prendere, nonostante mi fregiassi del fatto che essendo psicoterapeuta, per definizione ero consapevole… niente di più sbagliato. La consapevolezza del corpo e dei suoi segnali si guadagna non sui libri, ma sul campo… portando l’attenzione a quello che emerge momento dopo momento….
Ed in questi anni, i pellegrinaggi dai vari luminari, (a volte anche inutili e costosi) sono stati affiancati da un ascolto attento e gentile ed ogni sera, prima di addormentarmi, il corpo la mente e soprattutto il sentire, costruivano uno spazio e un tempo comune dove incontrarsi, connettersi, sintonizzarsi e … collaborare.
La malattia allora, prima solo temuta e rifiutata, è diventato il motore che mi ha spinto a prendermi cura di me in un modo nuovo e sconosciuto fino ad allora. La strada è stata lunga, forse ancora lo è, ma il regalo più grande di questo cammino, è stato quello di permettermi di rivolgermi al mio corpo non come ad un nemico da cui fuggire ma come un amico che ha qualcosa da dirmi e che forse, è anche bello stare ad ascoltare.