La malattia è un segnale che viene dalla nostra mente/corpo per segnalare un disequilibrio a qualche livello dentro di noi, che è necessario affrontare. Ma come? Esistono molti modi per approcciare il disagio, a seconda che si manifesti su un piano fisico, psichico o comportamentale. Secondo me, la prima cosa però, è proprio quella di far luce su 2 parole: Guarire e curare. Spesso usiamo la prima come la conseguenza della seconda, quando in realtà hanno due significati diversi.
Vediamo insieme il significato di entrambe. Nel curare ci prendiamo cura di (radice etimologica sanscrita kavi osservare e guardare) un organo o una parte di noi.
Nel guarire (radice etimologica indoeuropea Swer swor che significa l’arrivo della luce: vedo perché la luce illumina) accogliamo la realtà del momento in cui ci troviamo.
Anche etimologicamente, queste 2 parole all’apparenza simili, hanno sfumature di significato molto diverse. La radice che parla di guarigione, ad esempio, ci parla di qualcosa che va ben aldilà della cura.
Ne consegue che mentre il curare è un atto principalmente appannaggio degli operatori della salute, (medici, psicoterapeuti infermieri ecc) il guarire (che paradossalmente può avvenire anche se siamo malati terminali) comporta l’entrare in contatto con la parte più profonda di noi: possiamo guarire da una ferita, da un dolore o da una delusione… ma sempre, necessariamente, questo processo è possibile solo se esiste consapevolezza, accoglienza e poi compassione… la guarigione quindi è prima di tutto un atto della nostra coscienza.