L’altro giorno, ascoltando una conversazione di gruppo, mi ha incuriosito il fatto che i partecipanti erano tutti concordi nell’assegnare alla figura dello psicoterapeuta, delle caratteristiche di base come ad esempio il manifestare raramente le emozioni, l’essere saggio ed equilibrato; insomma, una sorta di “genitore” atarassico, accogliente e tranquillo ( quasi ieratico e ai limiti del noioso, direi).
E questo mi ha fatto riflettere che nel nostro immaginario collettivo, quasi tutti noi, ad ogni categoria, attribuiamo degli aspetti caratteriali salienti e quasi ci rimaniamo male se questi non vengono incarnati.
Allora, sicuramente se abbiamo scelto quella professione è anche perché certe caratteristiche che la contraddistinguono ci sono più congeniali… e sicuramente, qualità come la capacità di ascolto o entrare in empatia con l’altro, sono imprescindibili nella professione di uno psicoterapeuta.
Ma il rischio sottile, se non ce ne rendiamo conto, è proprio quello di aderire inconsapevolmente a questo immaginario collettivo fino a modellare la propria identità, rinforzando solo alcuni aspetti del nostro essere noi e diventando così degli stereotipi h/24 che a lungo andare, possono diventare una prigione.
Io penso che nessuna persona viva può e deve rappresentare uno stereotipo che naturalmente, per sua natura, genera distanza e non autenticità, sia che si trovi all’interno di un setting psicoterapeutico o nella vita di tutti i giorni.
La nostra complessità, le nostre peculiarità, la nostra unicità di persona, vanno difese e sostenute come qualcosa di prezioso, che in molti casi “fanno la differenza”,sia in ambito professionale che umano.